- Stats: 0 0
- Autore: Redazione BlogDiMusica
- Pubblicato: Set 24, 2015
- Categoria: News, Personaggi
Dalla scultura alla musica: Pinuccio Sciola e le pietre sonanti
San Sperate, in Sardegna, è un paese-museo dove, tra murales, sculture e installazioni, si può assistere ad un insolito fenomeno…
“Il calcare ha un suono liquido, semplicemente perché questa pietra dal punto di vista geologico non è altro che acqua fossilizzata. La memoria della ‘materia acqua’ evidentemente è rimasta impressa. Basta accarezzarla e vengono fuori i suoi suoni, non sono i miei suoni. Il basalto ha invece origine vulcanica, si sente soltanto il suono del fuoco e della terra. Ogni materia ha la propria memoria, accarezzandola tiro fuori quello che c’è dentro.”
Avete presente l’espressione “muta come la pietra”? Immaginate che non sia più valida, anzi, rimuovetela dalla vostra memoria. Ora provate a immaginare che sia possibile dar voce alla pietra, farla suonare. Ed ecco che in un attimo riuscirete ad afferrare il potere innovativo delle sculture sonanti dell’artista-musicista sardo Pinuccio Sciola, classe ‘42.
Come ogni scoperta che si rispetti, anche in questo caso c’è stata una componente di casualità che ha rivelato a Sciola le potenzialità sonore dei blocchi monolitici che lavorava agli inizi degli anni Novanta. La sua produzione scultorea era allora incentrata sull’incisione sperimentale della pietra attraverso tagli profondi e regolari capaci di creare reticoli di pieni e di vuoti, sottilissime lamelle di pietra o superfici animate da una successione di quadrati, secondo uno schema a scacchiera.
L’approccio a queste nuove forme ha così palesato allo scultore che accarezzando con le mani le fenditure delle superfici, oppure sfregandole con piccoli segmenti ottenuti dalla materia stessa, è possibile creare vibrazioni fisiche e acustiche e ascoltare il respiro della materia.
“Sono nato dalla pietra”, così Pinuccio Sciola sottolinea il legame con la sua terra e la genesi della sua opera litofonica che non potrebbe esistere senza la madre roccia sarda. A San Sperate, nel sud della Sardegna, immerso nel profumo degli agrumi, il suo giardino sonoro risuona come un richiamo alle origini che, ormai da anni, ha spinto lo scultore a tornare stabilmente nel piccolo borgo agricolo.
Da San Sperate, infatti, Sciola si è allontanato molto giovane per frequentare l’Istituto d’Arte di Firenze e per seguire i corsi di scultura dell’Accademia Internazionale di Salisburgo, dove riceve gli alti magisteri di Kokoschka, Minguzzi, Vedova. La sua formazione di respiro europeo lo ha poi portato a compiere numerosi altri viaggi di studio, dal Campus della Moncloa di Madrid a Parigi, dove vive l’esperienza del Maggio francese. Al suo ritorno, comincia a decorare i muri del borgo natio, coinvolgendo i suoi compaesani e altri artisti, e trasformando San Sperate in un laboratorio permanente di decorazione murale.
“Ritornato da Parigi, mi rendevo conto che si stava creando un divario culturale con gli amici di sempre, così decisi di dipingere le case con la calce bianca, poi la creatività degli artisti fece il resto.”
Questa iniziativa richiama l’attenzione dell’Unesco che, nel 1973, lo invita a recarsi in Messico. Oltreoceano, lo scultore incontra David Alfaro Siqueiros, il grande padre del muralismo, collaborando con lui alla decorazione murale del popoloso quartiere Tepito.
Successivamente l’indagine artistica di Sciola è andata oltre, portandolo alla sensazionale scoperta delle pietre sonore.
I primi dialoghi di Sciola con la pietra risalgono agli esordi del suo percorso di ricerca all’inizio degli anni Cinquanta. In questa prima fase, l’artista è ancora interessato alla sperimentazione grafica e pittorica, e resta fortemente attratto dalle possibilità di impiego di altri materiali, come il legno e la terracotta. Lo testimonia la serie di Cadaveri attinti dal mondo popolare sardo e realizzati in legno inciso e combusto. Si tratta di corpi straziati dal dolore che lanciano un grido di protesta contro “l’irruzione nella storia del mondo popolare isolano”. Successivamente l’attenzione per il contesto sociale si affievolisce, come pure quella per l’ambito figurativo. La pietra rappresenta l’approdo materico definitivo e diventa portavoce della memoria sonora, sfondando il confine tattile e giungendo all’immateriale.
Le opere attraverso le quali lo scultore ha raggiunto la notorietà, si inseriscono in questo senso all’interno del processo di sperimentazione plastica iniziato negli anni Sessanta e Settanta che ha determinato la crisi definitiva della specificità del medium tradizionale, propria del modernismo, approdando all’ibridazione e alla contaminazione tra le singole arti. Dick Higgins, tra i fondatori del gruppo Fluxus, teorizzava il concetto di pratica intermediale concentrata sul sincretismo dei media e orientata verso la produzione di nuovi linguaggi capaci di coinvolgere lo spettatore in esperienze percettive totalizzanti e sinestetiche.
I suoni inediti e complessi che fuoriescono inaspettatamente dalle pietre sonanti raccontano e rivelano la vita musicale della materia, liberano la voce segreta custodita al suo interno e rimasta sepolta per migliaia di anni. Forse risuonavano così nella preistoria gli antenati degli strumenti musicali. I litofoni sono suoni lontani dalle rigidità delle partiture scritte e predeterminate, lasciati liberi, come teorizzava John Cage, “di andare là dove essi vanno e di essere ciò che essi sono”.
Nel suo lavoro di ricerca, Sciola ha iniziato a intrapreso un discorso insieme scultoreo e musicale, segmentando la pietra in funzione dei suoni da ricavare. Le vibrazioni ottenute sono di tutte le altezza e profondità e variano, oltreché in virtù del materiale utilizzato, in base allo spessore, alla grandezza e alla forma dei tagli che hanno un ruolo fondamentale nella generazione dell’onda sonora; inoltre, il timbro dipende anche dal tipo di sollecitudine che viene esercitata per ottenere la produzione musicale. Le prime rivelazioni sono avvenute con i basalti, rocce di natura vulcanica dalle quali possono emanare suoni profondi, viscerali che sembrano giungere da un passato primordiale oppure dallo spazio siderale; successivamente, alla fine degli anni Novanta, è avvenuta la scoperta della pietra calcarea, con la quale “la sorpresa si è centuplicata”, come ha raccontato lo scultore stesso, colto dall’entusiasmo per la straordinaria proprietà di trasmissione del suono caratteristica di questa pietra. Una roccia ricca di resti fossilizzati, dotata di grande elasticità e risonanza, dalla quale scaturisce una ricca produzione di suoni prevalentemente liquidi, che sembrano raccontare della lunga vita della pietra nell’ambiente marino. Il calcare, inoltre, si è rivelato per lo scultore strumento peculiarmente adatto ad essere lavorato architettonicamente, così che i litofoni sono diventati anche grattacieli assemblati in agglomerati urbani risonanti. Con le Città sonore Sciola arriva a saggiare le potenzialità musicali dello spazio; si tratta di modernissime città, immobili e deserte, animate soltanto dal soffio vitale delle vibrazioni sonore provenienti dai nuclei abitativi, in una suggestiva metafora del rumore della vita cittadina.
Le pietre mantengono la loro unicità anche quando sono unite in gruppo e la varietà delle loro superfici è infinita, come infinita è la varietà dei suoni corrispondenti.
La caratteristica che le accomuna tutte è la condivisione di una duplice anima, quella dell’opera d’arte scultorea, destinata ad essere ammirata e contemplata, e quella dello strumento musicale finalizzato alla fruizione sonora.
L’unica pietra che non suona? Il marmo di Carrara. E’ questa, secondo l’artista, la ragione per la quale il Mosé di Michelangelo non poteva parlare. Per dimostrargli che la pietra è viva, Sciola ha poi suonato davanti alla tomba dell’artista rinascimentale in Santa Croce a Firenze, omaggiandolo col suo canto delle pietre.
Le pietre sonore di Sciola sono state ovunque, dalla Germania a L’Avana e Budapest, a Parigi per un omaggio a Jaques Prévert e in varie città italiane. Anche all’aeroporto di Fiumicino e a Roma, all’Auditorium Parco della musica, grazie alla collaborazione con l’amico Renzo Piano.
“C’è un patto tra Pinuccio Sciola e le pietre di Sardegna, tant’è vero che assomigliano l’uno alle altre come due gocce d’acqua. Deve essere la ragione per cui le pietre si lasciano fare di tutto da lui: tagliare, perforare, frammentare. Riesce persino a farle suonare. Fantastico.”
Renzo Piano
Fonte:
Ladogana Rita, Materia e vita. Il rapporto tra forma scultorea e dimensione musicale nelle pietre sonore di Pinuccio Sciola, “Medea”, I, 1, 2015
DOI:
http://dx.doi.org/10.13125/medea-1819