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- Autore: Redazione BlogDiMusica
- Pubblicato: Apr 22, 2016
- Categoria: Eventi, Recensioni
”A night in Bohemia”: vi racconto i Queen (RECENSIONE)
Non sono qui per anticiparvi nulla, lo giuro, ma essere stata presente ad un’anteprima è stata certamente un’emozione unica e ho voglia di raccontarvi un po’ di cosa parla il film-concerto dei Queen, fosse solo perché in questo momento appartengo a quella piccola cerchia di persone che lo ha già visto e ne sono esaltata.
Il film si divide in due parti: i primi venti minuti sono dedicati alla storia dei Queen, dal 1970 al 1975 – anno in cui si esibirono all’Hammersmith Apollo – con interviste ai componenti. Vi verrà spiegato come divennero un gruppo, il motivo del nome “Queen” e soprattutto vi verrà svelato quanto hanno sudato e lavorato per guadagnarsi un posto sotto i riflettori musicali.
Una cosa però ve la voglio già svelare: è stato il primo gruppo a capire l’importanza dei video musicali. I Queen, ai tempi dell’uscita del loro quarto album, A night at the opera, avevano in programma un tour mondiale e non avrebbero potuto presenziare al programma Top of the pops: venne loro l’idea di farsi filmare nello studio di registrazione mentre cantavano “Bohemian Rapsody”, così da poter far mandare in onda il video durante il programma televisivo. Fu un vero successo: la canzone in poche settimane scalò le classifiche britanniche e rimase al primo posto per ben nove settimane. Da lì in poi si capirà che per le nuove generazioni, il video musicale è fondamentale per conoscere e apprezzare le canzoni ed i cantanti.
In seguito viene proiettato proprio il concerto all’Hammersmith Apollo, svoltosi la vigilia di Natale del 1975 in diretta televisiva. In Inghilterra, i Queen non erano ancora famosi come nel resto del mondo e si resero ben presto conto che cantare in diretta sarebbe stata un’occasione d’oro, se sfruttata al meglio. Probabilmente è da questo concerto che gli inglesi iniziano ad apprezzarli o forse solo a guardare al loro stile. Sì, perché si sta parlando del 1975, dell’età in cui in Inghilterra inizia a presentarsi il fenomeno del punk e quindi della stranezza: veder arrivare sul palco un cantante truccato e con lo smalto nero deve aver fatto molto scalpore negli ambienti più tradizionalisti.
Ma penso che chi ami la musica, non si sia fermato neanche allora all’aspetto estetico. Ammetto che pur non amando i concerti visti su uno schermo (sono del parere che non riesci a goderteli neanche un po’) ho guardato con invidia quel concerto: avrei voluto avere a portata di mano una macchina del tempo per tornare a quella sera e godermi lo spettacolo dal vivo. Non si tratta solo di Freddie Mercury, si tratta dei Queen, della band nell’insieme. Di Brian May, che per sette minuti fa “cantare” la sua chitarra mentre gli altri si cambiano, di Roger Taylor, che nonostante sia preoccupato per la sua prestazione a causa dell’influenza che lo affligge da qualche giorno, si mette alla batteria e inizia a farci sognare, di John Deacon, che pur rimanendo un po’ nell’ombra, ci fa venire la pelle d’oca quando a fine concerto rientra e dice: “Signore e signori, grazie per questa serata. E adesso Rock’n’Roll!”.
Si parla di uno dei gruppi che ha fatto la storia della musica e ammetto che non avrei voluto pensare a come è finita: Mercury si sarebbe meritato ancora molti anni di successo, per quello che ha creato con le sue mani, dall’inizio alla fine. Con la sua voce, con i suoi testi, ma anche con il suo coraggio: ha insistito fino alla fine, voleva creare quella band, voleva a tutti i costi quei suoi compagni di viaggio accanto, e per l’ennesima volta mi ha dato l’occasione per capire quanto fosse visionario e geniale e quanto avesse capito che con la sua voce e la bravura degli altri tre, sarebbero riusciti ad arrivare molto lontano. La musica aveva bisogno di loro e loro sono arrivati: e solo noi possiamo capire quanto ne siamo grati.
Non vi dirò di andare a vedere il film – non perché non meriti, attenzione – ma perché per chi come me non riesce a godersi lo spettacolo dei live rimanendo in poltrona, senza poter cantare a squarciagola, si sentirebbe un po’ legato e non partecipe come desidererebbe, ma vi dirò che a me ha insegnato tanto. Mi ha fatto ragionare sull’estrosità di Freddie Mercury, che fin da allora si palesava in maniera netta – dal cantare a piedi nudi e con i pantaloncini corti, agli abiti che indossò quella sera (mi ha ricordato tanto Renato Zero, l’unico che in quel periodo riuscì a distaccarsi dalla mentalità italiana e importare un po’ di anticonformismo), alla bravura assoluta degli altri membri, che sono sempre riusciti a fare da spalla alle esibizioni di Mercury, ma anche a fare spettacolo quando il cantante non era sul palco con loro.